
Il caso di Ginevra: solo uno fra tanti?

Andrea Geissbühler
Ex-Consigliera nazionale
Bäriswil (BE)
Fin dalla sua fondazione, l’Associazione Iniziativa di protezione si impegna per il benessere di bambini e adolescenti. Cosa significhi benessere del fanciullo, lo dice l’articolo 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che la Svizzera ha ratificato nel 1997 e posto in vigore nel marzo di quello stesso anno. La citata convenzione afferma testualmente: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.»
Un altro elemento chiave in questo ambito è l’articolo 9 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che stabilisce il principio secondo cui i minori non devono essere separati dai genitori.
È proprio riferendosi al benessere di fanciulli e adolescenti che la lobby LGBTQ+ sta tentando di forzare, in Svizzera, la cosiddetta «transizione sociale» (riassegnazione del sesso) di bambini e adolescent – si noti, a insaputa dei genitori. I genitori, quindi le persone di riferimento più vicine ai ragazzi che a scuola scelgono la «transizione sociale» assumendo nomi e pronomi o indossando abiti che non corrispondono al loro sesso biologico, dovrebbero tuttavia restare all’oscuro dell’avvenuta «transizione». Dei casi di transizione sociale occulta sono all’origine di una recente lettera di protesta inoltrata da alcuni genitori alla direttrice del dipartimento della sanità e Consigliera di stato del canton Zurigo Natalie Rickli.
Ad ogni buon conto, chi pensa che sia stato toccato il fondo si sbaglia di grosso, come mostra quanto recentemente avvenuto a Ginevra, dove, con il pretesto di tutelare il «benessere del fanciullo», l’autorità di protezione dei minori e degli adulti (APMA) del cantone aveva sottratto all’autorità parentale una ragazza, nel frattempo sedicenne, che aveva manifestato un «disturbo dell’identità sessuale». La colpa dei genitori? Non erano d’accordo né con la «transizione sociale» a scuola, né con l’assunzione da parte della figlia di ormoni per bloccare la pubertà. ADF International, un’organizzazione per la protezione legale gratuita con sede a Vienna, sta nel frattempo assistendo i genitori ginevrini in lotta contro le autorità per riavere loro figlia.
Un caso, questo, che mostra in modo inequivocabile come l’ideologia transgender stia inquinando le nostre istituzioni e, in particolare, i nostri tribunali. Richiamo a riguardo un caso di giugno 2023, quando il Tribunale federale, presieduto da un giudice PS, aveva stabilito che il licenziamento di un insegnante, che si rifiutava costantemente di rivolgersi a una ragazza con il nome di ragazzo che aveva scelto e di usare per lei pronomi maschili, era ammissibile. Come se non bastasse, l’organizzazione lobbista Transgender Network Switzerland (TGNS) ha divulgato un opuscolo di 32 pagine dal titolo «Best-Practice-Leitfaden für eine Transition in Schule und Ausbildung» (Linee guida delle best practice per la transizione a scuola e negli istituti formativi). Ecco un esempio di domanda per gli insegnanti: «Una studentessa ha scelto di fare una transizione sociale. Cosa faccio se i genitori si oppongono?» Risposta: «In un caso del genere, raccomandiamo ai docenti o alla scuola di prendere contatto con TGNS per ottenere consigli e chiarire i margini di azione.»
Noi, però, siamo intenzionati a cambiare le carte in tavola: vi sono anche da voi dei casi di «transizione sociale», o siete a conoscenza di casi di divulgazione dell’ideologia transgender nella scuola frequentata dei vostri figli? Contattate oggi stesso l’Associazione Iniziativa di protezione (Tel. 061 702 01 00, info@iniziativa-di-protezione.ch) per ricevere un sostegno rapido e gratuito per il benessere – quello vero – di vostro figlio o vostra figlia.
